La Torre, estratto 2

rebecca lena polaroid sx 70 doppia esposizione

     Milo guadava attentamente un tagliaforbice, chinato sul suo piazzale, lo osservava scalare con fatica le dune delle piastrelle rigate. Provò a stuzzicargli le tenaglie col dito indice, per vedere se lo attaccava, ma pareva troppo impegnato per litigare. Gli piaceva quella bestiolina, e non durò nemmeno il breve tempo con cui avrebbe potuto veramente affezionarsi a lui. A pochi centimetri dal suo viso, con un movimento deciso – ben consolidato nel tempo – un infradito rosa d’improvviso lo strisciò via, lasciandone solamente una lunga sgommata davanti agli occhi increduli di Milo.

–  Vieni a fare colazione? – esclamò allegramente la zia.

Si alzò e cercò di non pensarci, cominciava quasi ad abituarsi a quella crudeltà mascherata da dovere. C’era stato un giorno in cui addirittura era-no stati vicini a convincerlo – della consuetudine di assassinare gli animali piccoli – che per un istante ebbe persino il timore di essere ucciso pure lui. Piccolo com’era, qualche passante avrebbe potuto scambiarlo per un’ insulsa creatura, di quelle che strisciano in terra.

Ma la paura era scomparsa poco dopo. Era troppo grosso lui, in mezzo ai piccoli; e poi la sua faccia si poteva pur vedere: era una faccia umana. Quella degli insetti no, non avevano di certo un bel naso scolpito, gli occhi ben proporzionati alla testa, una bocca lucida e polposa.

Loro avevano antenne affusolate, corpi disegnati da trame di colori, oppure vellutati da leggera peluria, e infine lunghe ali vetrate. Quanto avrebbe voluto essere un’ape, e dormire dentro i fiori.

    Ma fu proprio in quell’istante che un’idea gli balenò per la testa, una spiegazione logica a tutto quanto: esisteva una legge, una regola primordiale insita nella coscienza dell’uomo. Quella di uccidere tutto ciò di cui non si potesse distinguere un “viso” (regola che un tempo, forse, avrebbe potuto contribuire alla sopravvivenza). Perché indubbiamente tutte quelle bestioline, con le loro teste inespressive, non potevano certo dimostrare dolore, quanto piuttosto indifferenza, o insofferenza totale, per la loro stessa morte.

Forse un’ape lo era stato; e magari un giorno, mentre affogava nell’acqua abbandonata di un secchio, era stato ripescato con una foglia da un bambino piccolo e grosso proprio come lui. Magari tutti, un giorno, si sarebbero trovati inaspettatamente dentro le pelli degli altri.

Che poi, quale senso aveva per Dio sfornare continuamente anime nuove? Quando ne poteva creare una sola, più grande, e farle indossare sempre pelli diverse?

Continua…

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13 risposte a “La Torre, estratto 2

      • In estrema sintesi, alla reincarnazione proprio non ci arrivo, neanche sforzandomi e sono favorevole alla sperimentazione animale, se motivata ed utile alla cura di malattie.

      • Ok, capisco! Nemmeno io in parte sono sfavorevole alla sperimentazione, ma solo perché non ho le conoscenze per proporre vie alternative..per quanto riguarda invece il concetto della “reincarnazione” in realtà vorrei precisare che non si tratta proprio di ciò! Anche se a una prima lettura chiunque potrebbe ricondurre le mie parole alla reincarnazione, in realtà quello di cui parlo é un processo un pochino più complicato; Infatti ti ho chiesto proprio perché temevo arrivasse un’idea simile. In ogni caso non voglio dilungarmi troppo, se hai voglia e tempo di approfondire nel post precedente a questo, “Sagome”, questo stesso concetto è trattato nuovamente e in un altro contesto! Grazie e ciao :)

  1. anche io non sono contrario alla sperimentazione animale, il combatterla “ideologicamente” credo nasconda forti interessi, come spesso accade. Creare nuove frontiere di ricerca significa aprire nuovi rubinetti, nuove mangiatoie e alimentare ricerche parallele quasi sempre di stampo militare.

    TADS

  2. Puoi trovare spunti interessanti leggendo il romanzo “Denti bianchi” di Zadie Smith dove la sperimentazione animale è vista da entrambe le parti della barricata. A mio parere ci sono torti e ragioni sia per una tesi e sia per la tesi opposta.
    Nicola

  3. questo estratto mi piace assai, anche perché, come sai, ci sono quelle preziosissime quattro parole dalla viva voce di zia…
    : )))
    se vuoi, telegraficamente, un approccio neuroscientifico al problema potrebbe addirittura ribaltare la questione: vediamo volti umani dappertutto, non solo negli animali ma financo negli oggetti inanimati (automatismo cerebrale della nostra poltiglia grigia) e siamo istintivamente portati ad *antropomorfizzare* in senso sia letterale che metaforico qualsiasi aspetto della realtà tangibile e non (vedasi le varie divinità nelle varie culture). non a caso siamo soliti attribuire un’ “anima” alla materia semovente (noi compresi) e funzioni corticali del cervello umano a sistemi neuronali privi di integrazione corticale o addirittura ad organismi viventi priva di sistema nervoso (le piante).
    spero di non essere strato né palloso né odioso, perché, sia ben chiaro, l’arte e la capacità di evocare/cmunicare emozioni è tutt’altra cosa…
    : )

  4. I tuoi articoli e le tue ricerche scavano in profondità; tra il sensibile e quel – sensibilmente avvertito -, mi piace la pagina che hai scelto per introdurre il tema sulla sperimentazione. Mi viene solo da pensare che gli uomini già fanno fatica a mettersi nei panni di altri uomini, figuriamoci quando si parla di animali… E’ triste, e non è per tutti così… ma giù dalle mie parti si dice, che del maiale non si butta via niente, insomma siamo più sani quando mettiamo all’ingrasso un animale che finirà sulle nostre tavole perchè siamo carnivori, affamati o semplicemente umani? Non voglio spostare il focus della tua argomentazione ma grazie per la riflessione che mi hai dato modo di fare. Buon lavoro.

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